domenica 11 aprile 2010

Fiera ORO AREZZO


Arco Antico è ad Arezzo alla Fiera.

Sorrisi e soddisfazione fra i 453 espositori (10% in più rispetto al 2009), per un'organizzazione puntuale ed efficiente che ha permesso questa partenza in grande stile.

La Fiera, rinnovata e migliorata nei servizi e nella fruibilità per i visitatori, riserva una vera sorpresa con l'area dedicata a Gold Up. Nel buio ricercato della sala, in un'atmosfera quasi sospesa, l'occhio è attratto da un luccicare tutto d'oro che trapela dagli ovali che “bucano” il buio. E attraverso questa sorta di oblò ci si può immergere in una “sfilata” sui generis che cattura l'immaginazione e trasmette emozioni.

Sono oltre 260 i buyers invitati provenienti da ben 49 paesi, parte dei quali ricompresi in aree di mercato consolidate e tradizionali e una parte di mercati emergenti tipo il Kazakistan ad esempio. Un modo questo per testare “in diretta” se un nuovo mercato può essere approcciato attraverso questi buyers. Nasce dunque all'insegna dell'ottimismo ritrovato e dell'intraprendenza questa 31esima Fiera di OroArezzo. E passeggiando nei padiglioni tra stand e vetrine, tra pietre e macchinari non vanno dimenticate le prestigiose sfilate di Premiere, anteprima delle tendenze “gioiello” del 2011.


Per maggiori informazioni:

viverelatoscana.blogspot.com/

martedì 6 aprile 2010

Le perle...un mare di tradizioni, storie e curiosità



Le perle, da sempre sinonimo di femminilità ed eleganza, raccontano storie affascinanti di culture e tradizioni lontane.
La tradizione più diffusa narra che Fu proprio Kokichi Mikimoto ad ottenere l’11 Luglio 1893 la prima perla coltivata della storia.Grazie ad un procedimento delicato e minuzioso, basato su un’idea straordinariamente semplice, ma costata anni di ricerca, Mikimoto creò un business internazionale che gli fruttò l’universale definizione di Re delle perle. L’ambito e prestigioso ruolo di gioielliere della Famiglia Imperiale Giapponese, conferma una volta di più la fama di Mikimoto, le cui splendide perle ornano i potenti della terra: dal Rajah Baroda in India ai Reali di Spagna fino alla Regina Elisabetta II d’Inghilterra ad altri personaggi famosi.
Secondo antiche fonti però, la prima persona a scoprire il segreto della produzione di una perla di coltura da parte di un'ostrica non fu affatto il celebre Mikimoto ma un impiegato di servizio della pesca in Australia, William Saville Kent, nel 1890. John Saltmarsh, figura dell'industria perliera di Queensland da più di 15 anni, mette in chiaro questo malinteso della storia.
Secondo un’antica leggenda giapponese le perle sono ‘gocce di luna cadute nel mare per adornare la bellezza femminile’. Nell’antica Roma erano ritenute ‘un prodotto dell’amore’ e quindi dedicate a Venere, dea della bellezza,dell’amore e della fecondità.
Nel secolo scorso era credenza che la loro fecondazione avvenisse nelle notti di plenilunio, ad opera della rugiada. Fatto è, che da sempre le perle sono state associate all’eleganza, alla femminilità e alla bellezza. Al di sopra di ogni moda, dal tubino nero al jeans, dal twin-set alle sneackers, le perle possono essere considerate un vero ever-green dello stile.
Da sempre utilizzate dalle nobildonne e dalle teste coronate, le perle hanno conosciuto la propria liberalizzazione agli inizi del Novecento quando il geniale e tenace Kokichi Mikimoto ne introdusse i primi esemplari coltivati. Da allora non hanno mai conosciuto il tramonto, se non per brevi periodi.
Amate dalla borghesia e da donne come Grace Kelly e Jacqueline Kennedy, le perle tra gli Anni Cinquanta e Sessanta assurgono a simbolo del gusto bon-chic-bon-genre. Sarà con la fine del 68’ che le perle scompariranno insieme a reggiseno, rossetti e decolletés: tutti destinati al rogo. Ma è bastato pochissimo affinché ritornassero a contraddistinguere lo stile delle signore alla moda.
Donano all’incarnato, illuminano il volto, le perle per la prossima stagione tornano non solo sui gioielli, ma anche su abiti, borse, bikini e addirittura fatte in polvere da usare come antirughe. Miuccia Prada ne ha ricoperto interi abiti decisamente romantici, mentre John Richmond le preferisce in versione fataleggiante nei suoi vestiti dai riflessi lunari. Borse grondanti di perle ma anche bikini griffati rispettivamente da Cesare Paciotti e Calzedonia.
Enormi perle barocche, per tutte le amanti dello stile massimalista, impreziosiscono le spille firmate Christian Dior, gli orologi di Valentino e i bracciali di Chanel. Molte le perle bijoux ma anche vere dal fascino indistruttibile come quelle usate nei collier a grappolo di Mimì, negli orecchini asimmetrici di Breil o ancora in quelli classicheggianti di Emporio Recarlo. Infine, Helena Rubinstein le usa polverizzate per creare una crema antirughe adatta a vere regine. Per mantenere intatta la luce delle perle è consigliabile pulirle con un panno imbevuto di acqua distillata, evitare fonti di calore troppo forti, il profumo e la lacca. Regola d'oro: cambiare il filo due volte l'anno.

Le perle bianche dei Mari del Sud e quelle nere di Tahiti si sposano con topazi, zaffiri e chiocciole d’oro nella magica collezione di Golay dedicata alle profondità dell’oceano.
Niente di meglio che impreziosire le mise estive con gioielli che donano luce all’incarnato rendendo ogni donna splendente e originale. Quando la calda stagione riscalda i corpi nudi e dorati dal sole, le scollature rendono sensuale ogni gesto scoprendo gioielli che in inverno non possono essere così visibili. Orecchini, collane e bracciali decorano i corpi abbronzati e se le pietre sono del colore del mare, allora, l’effetto sarà strepitoso.

Fascino ed esotismo si fondono nelle collane e negli orecchini dedicati ad una donna audace e sofisticata, sempre pronta ad esplorare l’ignoto e ad assaporare la vita con la massima intensità.


Un’altra leggenda narra che nell'antico Giappone, una perla pegno d'amore fu smarrita in un tratto di mare controllato da un drago; il responsabile della sua perdita si rifugiò in un paese isolato, dove una giovane pescatrice strappò a costo della vita, la perla dal regno del drago per dimostrargli il suo amore.

giovedì 1 aprile 2010

Arco Antico Jewelry wish you a Happy Easter



Arco Antico Jewelry Wish you a Happy Easter.

Life is…

Mother Theresa


Life is an opportunity, benefit from it. Life is beauty, admire it.
Life is a dream, realize it.
Life is a challenge, meet it.
Life is a duty, complete it.
Life is a game, play it.
Life is a promise, fulfill it.
Life is sorrow, overcome it.
Life is a song, sing it.
Life is a struggle, accept it.
Life is a tragedy, confront it.
Life is an adventure, dare it.
Life is luck, make it.
Life is too precious, do not destroy it.
Life is life, fight for it.

martedì 2 marzo 2010

Curiosità sul bracciale Tennis di diamanti


Il tipico bracciale tennis è originariamente un bracciale flessibile composto da diamanti taglio brillante incastonati su montatura in oro bianco 750, per tutta la lunghezza del bracciale. E’ un braccialetto molto elegante e per nulla pacchiano, di gran classe. I prezzi variano molto a seconda della qualità delle pietre e dalla loro purezza, naturalmente anche le dimensioni e la caratura totale dei diamanti è fondamentale per il costo complessivo.

Sono i bracciali tennis tempestati di diamanti i più amati dagli italiani secondo l’ultimo sondaggio Dicembre 2009 promosso dall’OMG, l’Osservatorio sul Mercato del Gioiello diretto dal trend-setter Silvestro Fiore.
Secondo l’inchiesta condotta su un campione di 1.000 intervistati, di età compresa tra i 30 e i 60 anni, sparsi lungo tutta Italia, questo chi sceglie di regalare preziosi nel 63% dei casi opta per il raffinato braccialetto realizzato con diamanti bianchi o neri.

Simbologia:
Il bracciale tennis con la fila di diamanti che si susseguono senza un inizio né una fine significa amore eterno.
Forse non tutti sanno che la storia del bracciale a rivière di diamanti, oggi chiamato bracciale tennis, è legata al nome della celebre campionessa del tennis mondiale Chris Evert. Nel lontano 1987 la giocatrice statunitense, durante un match del torneo degli US Open, perse la propria rivière di diamanti e chiese al giudice di interrompere la partita in modo da poter ritrovare il prezioso gioiello, subito inquadrato dalle sollecite telecamere. La Evert in conferenza stampa dichiarò che fu la prima volta che si era separata dal suo “tennis bracelet”, dando così inconsapevolmente il nome a uno dei “must” della gioielleria contemporanea.
Direi che il tennis bracelet è proprio un bracciale da non perdere;-)!

lunedì 1 marzo 2010

Il Blue Hope...tra leggenda e storia


É nella misteriosa e affascinante India che fu trovata una delle più straordinarie e conosciute gemme di tutti i tempi. Nel diciassettesimo secolo, il grande avventuriero francese Jean Baptiste Tavernier fu avvicinato in India da uno schiavo che aveva qualcosa di molto interessante da mostrargli.

Lo schiavo era in possesso di una pietra azzurro-grigiastra di 110,50 carati, che a prima vista sembrava essere uno zaffiro; l’esperto Tavernier intuì però immediatamente l’eccezionalità della scoperta e capì di avere tra le mani il più grosso diamante blu al mondo. La pietra era tagliata in stile indiano, per mantenere elevata la caratura a scapito della brillantezza, probabilmente furono lucidate solo le facce naturali del cristallo.

Questo diamante, probabilmente proveniente dalla celebre Kollur Mine, ha una storia particolare; lo schiavo raccontò che la pietra era collocata nell’occhio di un idolo sacro, la divinità indù Sita, la moglie di Rama, che adornava un tempio sul fiume Colerron in India; tale leggenda contribuì ad aumentare la fama di questo diamante, tuttavia la pietra blu gemella, che avrebbe dovuto essere sull’altro occhio dell’idolo, non fu mai stata trovata.

Tavernier acquistò la pietra e la portò a Parigi, dove la vendette nel 1668 al re Louis XIV. Il diamante fu quindi tagliato di nuovo da Sier Pitau, il gioielliere di corte, per migliorarne la brillantezza, in una gemma a forma di goccia triangolare dal peso di 69,03 carati: era la nascita della leggenda di un diamante destinato a diventare celebre, il French Blue (anche detto il Tavernier Blue).

Louis XIV donò la pietra a Madame de Montespan, che uscì però immediatamente dalle grazie del re. In seguito il responsabile delle finanze francesi, Nicolas Fouquet, mostrò nuovamente in pubblico il diamante azzurro in occasione di uno sfarzoso ricevimento in onore di Louis XIV; sfortunatamente dopo la festa Fouquet fu arrestato per truffa alla nazione e la pietra tornò nelle mani del re.

La maledizione legata al “French Blue” era partita: l’idolo sacro, a cui era stato sottratto il suo prezioso occhio azzurro, stava iniziando la sua vendetta.
I successivi proprietari della pietra, il principe di Lambaille e Marie Antoinette furono entrambi ghigliottinati durante la rivoluzione francese.

Il diamante scomparve per molti anni, probabilmente sottratto e nascosto durante la rivoluzione francese; non se ne seppe nulla fino al 1812, quando apparve tra le mani di un commerciante di diamanti di Londra, Daniel Eliason, un diamante di un intenso blu-grigiastro di 44,50 carati, senza dubbio ricavato dal French Blue.

La pietra era stata quindi tagliata di nuovo, perdendo ulteriormente di peso, ma guadagnando in brillantezza (durante una puntata del 2005 di Discovery Channel fu anche dimostrato che nessuna pietra minore fu ricavata durante le nuove operazioni di taglio).
Nel 1824 il banchiere inglese, Henry Thomas Hope, acquistò il French Blue.
Nel 1851, durante la “Great Exhibition” a Londra, la pietra fu presentata come Blue Hope, il più grande diamante blu al mondo e assicurata per una cifra stratosferica.

Il Blue Hope fu ereditato da Lord Francis Pelham Clinton Hope, che lo regalò a sua moglie May Yohe; lord Pencis fu abbandonato e andò in bancarotta, mentre la sua ex-moglie morì sola e in povertà, lamentandosi della sfortuna che le aveva procurato la pietra.

Il successivo proprietario di cui se ne abbia notizia fu Abdul Hamid II, sultano di Turchia, soprannominato Abdul il Dannato, che acquistò la pietra da un gruppo di commercianti di diamanti per 450 mila dollari.
Il sultano regalò la pietra a Subaya, una delle sue 237 donne. Subaya fu in seguito scoperta a tramare contro il sultano e fu decapitata, Abdul Hamid II fu invece spodestato e privato delle sue ricchezze. E l’idolo sacro gioiva dall’aldilà.

Mrs Evalyn Walsh McLean osservò il Blue Hope durante una visita in Turchia e se ne innamorò; quando la pietra fu contrabbandata e messa in vendita a Parigi, Mrs Mclean non perse l’occasione e l’acquistò nel 1911.
Il gioiello con il Blue Hope fu sfoggiato dalla nuova proprietaria in tutte le occasioni mondane che si svolsero a Washington fino al 1947, anno in cui morì Mrs McLean suicidandosi.

Due anni dopo l’intera collezione di gioielli di Mrs McLean fu acquistata da Henri Winston.
Mr. Winston tentò di vendere questo diamante splendido e “maledetto”, ma non riuscì a trovare nessun acquirente (molte persone si rifiutarono persino di toccarlo). Fu così che Henri Wiston, il 10 Novembre del 1958, decise di donare il Blue Hope allo Smithsonian Institute di Washington, il luogo dove tuttora è esposto questo splendido e unico diamante.

Winston non credette mai alle maledizioni del diamante e morì nel 1978 all’età di 82 anni. Solo nel 1975 la pietra fu momentaneamente rimossa per essere pulita e pesata, fu così che i tecnici dello Smithsonian scoprirono che il peso reale è di 45,52 carati e non di 45,50.

Il Blue Hope non è il più grande diamante blu al mondo (è bensì il quarto), ma è il più grande se si considerano solo i diamanti blu intenso. Il colore blu è dovuto a tracce di boro, la pietra mostra fluorescenza rossa se esposta alle radiazioni UV ed è classificata come diamante di tipo IIb; il grado di purezza è VS1, le dimensioni esatte sono 25, 60 × 21,78 × 12,00 mm.

Con le nuove tecniche di ricerca, tramite analisi al computer, è stato possibile dimostrare che il Blue Hope è realmente quel che resta del diamante di 110,50 carati trovato in India e in seguito modificato da Louis XIV (il French Blue).

Nonostante le numerosi storie nefaste legate alla maledizione del Blue Hope, lo Smithsonian Institute lo ha collocato come pezzo principale della sezione denominata “National Gem Collection”.
Il Blue Hope, con un valore stimato tra i 200 e i 250 milioni di dollari, è oggi la pietra più ammirata e lo Smithsonian deve parte della sua fama e dei milioni di visitatori proprio a questo leggendario diamante non più “maledetto”... fino a quando l’idolo sacro non avrà nulla in contrario!

giovedì 25 febbraio 2010

La pietra dell'Amore: il Rubino


Quale colore assocereste spontaneamente all'amore, alla vitalità alla passione e alla forza? Ovviamente tutto questo vi evocherà il rosso. Il rosso simboleggia l'amore, esso emana calore ed un forte senso di vita. Il rosso è anche il colore del Rubino, il Re delle gemme. Dopo tutto, nell'affascinante regno delle gemme i rubini sono generalmente considerati imperatori.

Per migliaia di anni il Rubino è stato considerato una delle gemme più preziose della nostra Terra. Esso ha tutto ciò che serve ad una gemma preziosa: un colore splendido, eccellente durezza ed una brillantezza stupefacente. Inoltre è una pietra estremamente rara, specialmente nelle qualità superiori.

Il Rubino è la varietà rossa del minerale corundum, uno dei minerali più duri della Terra che include anche Zaffiro.

Il Rubino, questa magnifica varietà rossa della famiglia del corundun multicolore, è composta di ossido di alluminio e cromo, cosi come di porzioni molto piccole di tracce di altri elementi - a seconda del ritrovamento. In colori davvero puri e di buona chiarezza, questa gemma viene estratta di rado in tutto il mondo. Responsabile di tale scarsità è infatti l'elemento del cromo elemento creatore del colore. Milioni di anni fa, quando le gemme furono create, il cromo era l'elemento che dava al rubino il suo splendido ed intenso colore nel profondo della terra. Ma allo stesso tempo esso è anche responsabile della causa di una moltitudine di fessure e di minuscole irregolarità all'interno del cristallo. Soltanto un numero davvero esiguo di cristalli di rubino riuscì a crescere indisturbato in misure considerevoli e di cristallizzarsi per formare una gemma perfetta. Inoltre, i Rubini che superano i 3 carati sono davvero rari.
Il nome "Rubino" deriva dalla parola Latina "rubens" che significa"rosso". Il rosso dei Rubini è in una categoria tutta sua: caldo e passionale.

Il viaggio verso i più importanti rinvenimenti di Rubino del Mondo ci porta alla piccola cittadina di Mong Hsu a NOrd-Est di Myanmar. Rinvenimenti di Rubino si hanno anche nel vicino Viet Nam, vicino alla frontiera Cinese; nel Pakistan de Nord, nella Hunza-Valley,o nel Cashmere, Tadchikistan, Laos, Nepal, e Afghanistan; Kenia e Tanzania.

Il “rubino” più antico che si è sempre chiamato così e di cui si conosce bene tutta la storia è il “rubino del Principe Nero” (Black Prince’s ruby) conservato nel tesoro inglese.
La sua prima citazione è del 1366: fu allora che il re di Castiglia Pietro il Crudele se ne impossessò assassinando Abu Said, re arabo di Granada. Pietro, nel 1367, lo donò al suo alleato Edoardo, detto il Principe Nero, principe di Galles ed erede della corona d’Inghilterra e da Edoardo in poi la gemma appartiene alla corona inglese ed è stata usata in tutte le cerimonie d’incoronazione a partire da quella di Riccardo II nel 1377.

Il colore è l'elemento più importante del Rubino, mentre la trasparenza è solo secondaria. Per questo motivo, dunque, le inclusioni non danneggiano la qualità di un Rubino, a meno che queste non diminuiscano la trasparenza della pietra o siano poste proprio al centro della sua tavola. Spesso accade il contrario: le inclusioni interne al rubino, sono un po’ come le impronte digitali delle gemme,ne attestano l'individualità e contemporaneamente provano la loro genuinità come un certificato di garanzia fornito dalla Natura. Il taglio è fondamentale: solo un taglio perfetto può evidenziare la bellezza di questa gemma preziosa e pregiata, per renderla effettivamente "Re delle Gemme". Ma, come il vero amore è molto raro, cosi lo sono i Rubini davvero perfetti. E se ne trovate uno, esso costerà una piccola fortuna. Tuttavia: una volta trovato "il vostro" Rubino, non esitate: tenetelo stretto!

domenica 21 febbraio 2010

Le fedi per il matrimonio? Oro giallo, bianco rosa o platino?


E' un anello generalmente in oro giallo, può comunque esser realizzata in oro bianco, oro rosa, rosso oppure in platino, e viene scambiato nel rito del matrimonio per giurarsi fedeltà per tutta la vita, il fatto che sia circolare significa unione (matrimonio), va messa sulla mano sinistra al dito anulare, mentre solo nel Europa Nord si usa metterla a destra.
Viene messa al dito anulare perché vi è la credenza che di lì passi una piccola arteria che risalendo il braccio arriva direttamente al cuore. Nel matrimonio secondo il rito religioso è usanza che le fedi vengano portate all' altare dal testimone o da un bambino (il paggetto), legate ad un cuscino di pizzo dove il Parroco le benedice prima dello scambio.
La fede nuziale orientativamente pesa dai 3 gr. ai 16 gr. a seconda dello spessore e dalla "taglia" del dito, ve ne sono di farie foggie e stili, eccone alcune:
la Fede Matrimoniale Classica, è tonda e smussata.
la Fede Matrimoniale Francesina, è la regina delle fedi è sottile e leggermente bombata.
la Fede Matrimoniale Mantovana, è più alta e più piatta e di solito pesa di più.
la Fede Matrimoniale Etrusca, è piatta e decorata da scritte beneauguranti.
la Fede Matrimoniale Sarda, è decorata come un pizzo chiaccherino.
la Fede Matrimoniale in Platino, è molto pregiata ma poco richiesta per via del costo un pò "impegantivo", tuttavia....., .....per una volta (!) :o)........
la Fede Matrimoniale Bicolore, due cerchi intrecciati (o due tipi d' oro) a scelta tra oro bianco, oro giallo, oro rosa e oro rosso, a seconda dei gusti personali.
la Fede Matrimoniale Tricolore, tre cerchi intrecciati (o tre tipi d' oro) a scelta tra oro bianco, oro giallo, oro rosa e oro rosso, a seconda dei gusti personali
la Fedina Matrimoniale Unica, ha incastonato un diamante.
la Fedina Matrimoniale Ossolana, proviene dalla Valle Ossola, è l'espressione più significativa dell'antica tradizione orafa della zona. Essa riporta 4 significativi simboli: La stella alpina che raffigura la purezza, il grano saraceno la prosperità, i nastri intrecciati la perpetuità dell'unione ed infine le mezze sfere augurio di prolificità.
la Fedi Matrimoniali tipo Ebraica, è in filigrana smaltata con decorazione di perline.
le Fedi Matrimoniali tipo Umbra, ha l'incisione del volto di una donna o di una coppia divisi da un bouquet di fiori

L'oro è il metallo nobile per eccellenza in quanto è duttile (può essere lavorato facilmente) e resistente agli attacchi di varie sostanze chimiche (l'unica cosa che a livello domestico lo "mangia" è il mercurio... quindi se si rompe un termometro, non toccate il mercurio che ne esce con gli anelli indossati!).
La colorazione dell'oro dipende dai diversi componenti della lega. Per esempio, l'oro giallo contiene più rame rispetto all'oro bianco ...etc...
Esistono anche l'oro rosa e l' oro rosso (a me, personalmente piacciono!).
L'oro giallo dell'oggetto in lavorazione appare già giallo, semplicemente ha bisogno di essere lucidato con l'ausilio di particolari spazzole, per divenire l'oro giallo che splende dalle vetrine dei negozi.
L'oro bianco, invece, non è del tutto bianco, ma giallino. Per assumere l'aspetto che tutti conoscono, necessita di essere rodiato (ovvero tramite un processo elettrolitico, il rodio va ad applicarsi come una patina sull'oro, conferendegli l'aspetto finale). Con l'uso il rodio va a perdersi e l'oggetto sembra ingiallirsi, ma non è così, quel colore giallino è il colore originale dell'oro bianco!
Come l'oro giallo necessita di essere rilucidato, così l'oro bianco richiede, di tanto in tanto, di essere ri-rodiato. Operazioni di ordinaria manutenzione che non presentano costi proibitivi.
Il platino, infine, è molto più pregiato e, dunque, costoso dell'oro.
Una fede in platino è sicuramente una chicca, ma a livello visivo è come una in oro bianco... inoltre, il platino non è malleabile come l'oro (questo si traduce in problemi nel caso in cui la fede debba essere messa a misura) ed è così delicato che si riga molto più facilmente.
Spero che queste considerazioni tecniche possano facilitare le vostre scelte!

Le famose 4C del diamante

Il diamante è una pietra di eccezionale bellezza e lucentezza le cui caratteristiche principali sono generalmente riassunte nelle famose 4 C (dall'inglese: Carat Weight, Color, Clarity, Cut):

Il Colore


Il colore di un diamante è forse la sua caratteristica più apprezzabile anche ad occhio nudo quando lo stesso è montato nei gioielli.
In linea generale più il diamante è bianco e più la luce riesce ad attraversare la pietra con facilità riflettendosi verso l'osservatore. Il colore di un diamante incide notevolmente sul valore di ogni singola pietra concorrendo in modo significativo alla formazione del prezzo.
Un diamante di colore G o H (un ottimo colore bianco, molto usato in gioielleria) può valere anche un 50% in più della stessa pietra di colore I a parità delle altre caratteristiche ( taglio, caratura e purezza ) . La valutazione del colore di un diamante è estremamente difficile e viene svolta anche con l'aiuto di pietre colorate di riferimento dette pietre di paragone poste sotto una luce molto bianca ( daylight ) che riproduce la luce diffusa di una giornata di sole. Le pietre di paragone vengono poste in appositi cartoncini bianchi accanto al diamante da valutare ed il grado di colore viene così determinato per confronto diretto con le pietre di riferimento.
Naturalmente l'occhio di chi assegna la gradazione di colore ad un diamante ( generalmente un gemmologo ) deve essere molto allenato poichè anche minime sfumature di colore possono incidere in modo determinante sul valore finale di un diamante.

Anche con l'ausilio di luci particolari e lenti di ingrandimento la determinazione del colore di un diamante richiede molta esperienza.
Esistono diverse scale di valutazione del colore dei diamanti, una tra le più diffuse vi è indubbiamente la scala GIA ( Gemological institute of America )



Il Taglio ( cut )


Il taglio di un diamante rappresenta in ultima analisi la capacità di una pietra di riflettere in modo ottimale la luce e ne determina quindi la brillantezza.
Esso non va confuso con la forma ( di cui riportiamo più avanti alcuni principali esempi ).
La forma più nota e diffusa è il cosiddetto " taglio brillante", ovvero un taglio di forma tonda nella sua parte superiore. In presenza di un taglio brillante ideale la luce entrata dalla parte superiore di un brillante viene rifratta ad angolo retto per poi uscire di nuovo dalla stessa parte conferendo alla pietra una notevole lucentezza e "brillantezza" ( vedi disegno in basso):

Il taglio a brillante classico prevede 58 sfaccettature di cui 33 sulla parte superiore (o corona) e 25 su quella inferiore ( o padiglione ) . La brillantezza ottimale si ottiene quando la corona rappresenta un terzo dell'altezza totale del diamante.

Le sue caratteristiche ottiche eccezionali permettono al diamante di essere un accumulatore di luce. Il scintillio della pietra proviene dalla "luce" e dalla brillantezza della pietra che, combinando i loro effetti permettono d'ottenere degli effetti di luce unici, propri al diamante. Delle tavole più piccole emettono più "luce".

Altre caratteristiche meno importanti devono ugualmente essere prese in considerazione e sono tutte menzionate nei certificati G.I.A.

- Culet : None ( pas ) a 1.90 % del diametro ( small a very small = molto buono, 2.50% del diametro è buono ).

- Girdle : thin à thick cioè 0.50 a 3.00 % del diametro = buono e medio è perfetto.

- Polish : excellent, very good, good ( non al di sotto o il prezzo per carato è inferiore )

- Symmetry : excellent, vert good, good (non al di sotto o il prezzo per carato è inferiore)

La Purezza ( clarity )


La purezza di un diamante è un fattore molto importante per determinarne il valore. I diamanti senza inclusioni, ovvero totalmente privi di imperfezioni puntiformi al loro interno che siano visibili con una lente d' ingrandimento a 10 X sono una vera rarità e sono perlopiù destinati a divenire diamanti certificati da investimento.

Molto più frequentemente invece i diamanti usati in gioielleria recano al loro interno alcune minuscole imperfezioni dette inclusioni. Tanto più queste inclusioni sono minime o non visibili quanto più il diamante sarà prezioso e di pregio.
Va detto che le differenze di purezza tra pietre simili sono molto difficili da individuare per un non addetto ai lavori e solo un gemmologo riesce con l'ausilio di una luce bianca particolare e di una lente d'ingrandimento a stabilire se un diamante sia un Vvs2 ( Very very small inclusions ) piuttosto che un Vs1 ( Very small inclusions ).
Agli occhi dei più esse possono infatti apparire identiche pur essendovi invece notevoli differenze in fatto di valore.
Per questo è sempre consigliabile acquistare gioielli con diamanti solo da commercianti fidati ed esperti e chiedere sempre di conoscere le caratteristiche del diamante che si sta per acquistare.

La caratura


Il carato parlando di diamanti ( o più in generale di pietre preziose ) non è altro che l'unità di misura del peso degli stessi ed equivale ad un quinto di grammo ( 0,20 grammi). Attenzione a non far confusione con il carato inteso come misura della purezza ( o titolo ) di metalli preziosi come l'oro o il platino di cui accenniamo più avanti.

Il carato inteso come peso di una pietra e generalmente abbreviato in Ct. rappresenta quindi il peso di una pietra preziosa. Nell'immagine seguente sono riportate le dimensioni approssimative di diamanti di taglio rotondo ( taglio brillante ) corrispondenti a certi valori di caratura.

Anche la caratura di una pietra concorre in modo determinante al valore finale della stessa e non solo perché il valore aumenta all'aumentare della caratura, ma soprattutto perché il valore di una pietra aumenta in modo più che proporzionale all'aumentare della caratura. Ciò significa che una singola pietra di un carato ( Ct. 1.00 ) ha un valore ben superiore rispetto a 100 pietre da 1 punto di carato ( Ct. 0.01 ).
Riferendosi alla caratura dei diamanti di pietre sotto al carato si parla spesso di "punti"; Il punto di carato è la centesima parte del carato ( ovvero 0,002 grammi ) ed è usato appunto per la misurazione di diamanti molto piccoli

Esposizione Internazionale della Gioielleria Hong Kong


Esposizione Internazionale di Gioiellerie di Hong Kong. L' evento oltre di essere una vetrina per i prodotti e servizi, è pure una piattaforma per lo scambio delle idee e l’ultima informazione in tutti gli aspetti dell’industria. La forza dei disegnatori di Hong Kong si fa viva nella competenza del Disegno delle Gioiellerie, Seminari che presentano agli esperti dell’industria ed è anche organizzata come parte dell’evento, permettendo ai partecipanti aggiornarsi nelle ultime tendenze cosi come le nuove tecniche e le iniziative di marketing.

Per ulteriori informazioni:
www.hktdc.com

Lo smeraldo: impronta della natura


La vivida brillantezza del suo colore rende lo Smeraldo una gemma proprio unica. Ma le qualità veramente buone sono rare, poiché le inclusioni spesso ne rovinano l'immagine- tracce di una storia attiva dell'origine che caratterizza questa gemma. Piccole inclusioni, dopo tutto, non ne diminuiscono il valore; al contrario. Uno smeraldo verde profondo con inclusioni , sarà valutato più di una pietra senza inclusioni ma di colore pallido. In maniera quasi affettuosa, gli esperti chiamano "giardino"le diverse inclusioni di cristallo o le fessure che sono cosi tipiche per questa gemma. Le strutture tipo pianta- verde tenue nel giardino dello Smeraldo sono considerate caratteristiche identificative di uno Smeraldo cresciuto naturalmente

Da dove vengono e perché sono accettabili? Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare indietro alla storia di oltre 65 milioni di anni fa quando gli Smeraldi furono creati . Da un punto di vista chimico-mineralogico, gli Smeradi sono silicati di berillo e di alluminio che raggiungono una durezza di 7.5 fino a 8 come l'Aquamarinablu, la Morganiterosa pallido, L'Eliodoro dorato e il berillio verde pallido, anche lo Smeraldo è un membro della Famiglia delle gemme Berillo Il Berillio puro è incolore. Il colore esiste solo quando tracce di certi elementi sono aggiunte al processo. Per lo Smeraldo, le tracce di cromo sono le maggiori responsabili del fascino del colore. Questi elementi, di solito, si trovano concentrati nella crosta terrestre a livelli completamente differenti rispetto a quelle del berillo, e quindi gli Smeraldi non dovrebbero esistere affatto. Comunque, nel corso di estremi processi tettonici, questi elementi contrari furono riuniti e crearono, nel processo di cristallizzazione, sotto calori molto forti e altissima pressione, uno dei loro più bei cristalli. A causa delle tensioni nelle condizioni geologiche durante la creazione, intervennero elementi di disturbo più piccoli o più grandi. E uno sguardo dentro il cuore dello smeraldo, con una lente d'ingrandimento o con un microscopio, ci dirà qualcosa sul processo vivido e selvaggio della creazione di questo gioiello unico. si possono riconoscere fessure più grandi o pi

Obbedendo alle leggi della logica, una simile storia della creazione rende virtualmente impossibile che i cristalli possano crescere senza imperfezioni. Per questo motivo, dunque, trovare uno smeraldo di grandi dimensioni, di buon colore e buona trasparenza è un evento davvero raro. Ed è per questo che gli Smeraldi puri sono così preziosi. Ma proprio il fatto che gli smeraldi hanno un vivido passato, fa si che a noi piaccia vederne le tracce sulla pietra, sempre che nella pietra ci sia solo un bel "giardino", e non una giungla selvaggia e indomita che danneggia il colore e la trasparenza.

sabato 20 febbraio 2010

Le origini dell'oro


L'uomo iniziò a estrarre l'oro circa 6000 anni fa, nelle regioni in cui sorsero le prime civiltà antagonistiche, cioè nell'Africa settentrionale, in Mesopotamia, nella valle dell'Indo e nel Mediterraneo orientale.
E' talmente remoto il periodo in cui s'iniziò questa pratica che le sue tracce, conservate nei racconti mitologici, sono quanto mai oscure. Non ci riferiamo ovviamente alla favola del re Mida, quanto alla non meno famosa leggenda del Vello d'oro, di cui forse pochi sanno che quella pelle di montone, una volta immersa nelle rapide acque dei torrenti montani, era in grado di svolgere una funzione di filtro e quindi di trattenere piccolissime particelle d'oro.
Stando a calcoli molto approssimativi si pensa che in tutta la sua storia sia stato estratto qualcosa come 100-135.000 tonnellate d'oro (un cubo coi lati di 17-18 metri). La cifra non è alta, ma non si deve dimenticare che questo minerale, una volta tolto dalla terra, grazie alle sue proprietà naturali e sociali, non scompare, non rientra nella terra, nell'acqua o nell'aria.
Questo ovviamente non significa che quando l'oro era in circolazione sotto forma di moneta non si consumasse, o non si siano perduti ingenti quantitativi d'oro. Si pensa anzi che almeno il 10% di tutto l'oro estratto sia andato irrimediabilmente perduto, o nei fondali marini o in tesori sepolti chissà dove, o polverizzato durante la lavorazione, consunto nell'impiego delle monete. Oggi addirittura il suo impiego nelle tecnologie più avanzate rende antieconomico il suo riutilizzo.
Se ne è estratto così tanto che l'attuale produzione mondiale (circa 2.400 tonnellate) aggiunge solo il 2% ogni anno a quella cifra.
E' curioso il fatto che di tutto il lavoro di migliaia di esperti artigiani, cioè gli orafi egizi, mesopotamici, minoici, greci ecc., ci sono arrivate solo pochissime cose, proprio perché per secoli si era ritenuto che il valore del metallo insito negli oggetti decorativi, sia religiosi che laici, fosse di molto superiore a quello artistico. Di qui le continue fusioni e rifusioni di questo metallo lavorato, spesso al semplice scopo di coniare monete circolanti. P.es. nei musei russi esistono pochissimi oggetti d'arte orafa precedenti l'invasione tartaro-mongola, semplicemente perché, dopo i saccheggi, furono completamente trasformati.
Un breve riferimento va fatto all'Antico Testamento, poiché qui la parola oro compare ben 415 volte, sin dal Genesi (2,10-12), ove si parla di una non meglio identificata regione di Havilah (Avila), ricca di oro (forse la parte centrale dell'Arabia Saudita).
Persino quando si parla di Abramo, lo si descrive come un personaggio arricchitosi anche con oro e argento (Gen 13,2).
In realtà nell'A.T. l'oro, pur svolgendo una funzione mercantile, conformemente al periodo in cui quei testi furono elaborati, cioè tra il II e il I millennio a.C., non viene mai usato come "denaro".
Non solo, ma per la Bibbia l'oro ha una semplice funzione sociale, non un'origine divina, per cui non è mai oggetto di culto, come invece lo diventa nelle religioni politeistiche delle società antagonistiche, dove la religione santifica l'oro perché la società da tempo lo considera molto prezioso.

La bellezza del diamante


Gli antichi Greci credevano che i diamanti fossero dei frammenti di stelle caduti sulla terra.
Alcuni di loro dicevano anche che erano le lacrime degli Dei. Un'altra leggenda sostiene che esisteva una valle inaccessibile dell'Asia centrale tappezzata di diamanti, custodita da uccelli rapaci dall'alto e da serpenti dagli occhi assassini sulla terra. La verità è comunque che l'origine esatta dei diamanti è ancora piuttosto misteriosa.
Un diamante grezzo assomiglia ad un ciottolo qualsiasi, e nessuno lo degnerebbe di uno sguardo. E' l'abilità del tagliatore di diamanti che svela la bellezza che giace nascosta nelle pietre. L'abilità richiesta per questa arte è stata tramandata nei secoli, di generazione in generazione: il tagliatore non può permettersi di fare alcun errore. Il rischio non esiste solo al momento del taglio, ma in una qualunque delle fasi di lavorazione di ciascuna pietra; sono infatti necessarie alcune ore (a volte giorni) per tagliare e levigare una gemma. In questa lunga lavorazione, un diamante arriva a perdere fino al 50% del suo peso originario!
La bellezza di un diamante dipende dal modo in cui esso riflette la luce, e il tagliatore deve sagomare la pietra in maniera tale che la luce penetri dalla parte superiore, venga riflessa all'interno, ed esca di nuovo dall'alto. In questo modo viene riflessa la maggior quantità di luce, e il diamante risplende con il suo fuoco, la sua brillantezza ed il suo scintillio.
I centri di taglio sono spesso lontanissimi dalle zone di estrazione. Sparsi in tutto il mondo, i principali centri di taglio si trovano a New York, Anversa, Tel Aviv e Bombay.
Sembra che l'arte di tagliare i diamanti sia nata a Firenze, presso il mediceo Opificio delle pietre dure. In tale officina venne eseguito il taglio del famoso "Fiorentino", acquistato grezzo dal Granduca Ferdinando nel 1608. Così pure venne eseguita a Firenze la celebre esperienza di Averani e Targioni, i quali dimostrarono la natura combustibile del diamante, bruciando con una lente ustioria alcuni esemplari loro donati dal Granduca Cosimo III, dimostrando così che il diamante (che deriva dal greco adamas = indomabile), che si riteneva appunto assolutamente inattaccabile, esiste in una forma che è termodinamicamente instabile a condizioni ambiente.